Domenica 14 Febbraio 2021

Domenica VI Per Annum

Omelia di Don Edmondo Lanciarotta  –  parroco

La domanda che ci accompagna in queste domeniche seguendo il Vangelo di Marco è: ‘Chi è Gesù?’. Domanda che comprendiamo sempre più essere non di carattere meramente intellettuale, ma profondamente esistenziale. In altre parole: la vicenda storica di Gesù raccontata dal vangelo di Marco ha senso per la mia vita, ha significato per il mio vivere quotidiano, ha senso per il mio oggi, qui in questo momento della mia storia, è accattivante, attraente, significativa, illuminante, bella, affascinante, per tutto quello che sto vivendo, nella gioia e nella sofferenza quotidiana? Le parole di Gesù, le azioni di Gesù offrono un riferimento, un beneficio, un sostegno, una guida, un orientamento per la mia vita oggi?

In queste domeniche qualcosa abbiamo intuito, alcuni tratti si sono scolpiti nel nostro cuore contemplando il dire ed il fare di Gesù: infatti, lo vediamo camminare per le strade della Palestina, incrociare la vita e le situazioni delle persone. Gesù è completamente immerso nell’umanità, specialmente la più povera, sofferente, ammalata e bisognosa di guarigione e di salvezza, e contemporaneamente, sempre in intima unione con il Padre attraverso la preghiera, cioè sempre in contatto, in relazione profonda con il Padre, per riscoprire costantemente la sua identità e verificare la verità della sua missione, obbedendo al Padre e rivelando così al mondo la bellezza del suo volto provvidente e misericordioso.

  1. Venne da Gesù un lebbroso

Il lebbroso era considerato infettato da una malattia contagiosa e pericolosa; la normativa secondo le prescrizioni espresse nel libro del Levitico era chiara: doveva portare vesti strappate, velato fino al labbro superiore, starsene in luoghi isolati, lontano dalla società e all’arrivo delle persone doveva gridare: ‘Impuro, impuro’, per comunicare la sua presenza, in modo che la gente non lo potesse incrociare ed esserne infettata. ll lebbroso è un emarginato, un rifiutato, un sepolto vivo, un morto che cammina, un intoccabile, un peccatore pubblico, un untore: ciò che tocca lo infetta. La sua eventuale guarigione doveva essere verificata e certificata dal sacerdote, il quale ufficialmente lo reintegrava nella società e nella comunità umana e religiosa.

  1. Lo supplicava in ginocchio e gli diceva. ‘Se vuoi, puoi purificarmi’

ll lebbroso, senza paura, si avvicina a Gesù, e non solo lo supplica di guarirlo, ma esprime senza ombra di dubbio la sua convinzione, la sua professione, la sua confessione. Esprime chiaramente che Gesù può guarirlo, ha la capacità di guarirlo, ha il potere di sanare la sua infermità; riconosce in Gesù la potenza di Dio, unico che lo può salvare.

  1. Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: ’Lo voglio, sii purificato’. E subito la lebbra scomparve da lui.

Gesù alle parole del lebbroso manifesta il suo amore: prova compassione, che non è riducibile alla commiserazione, ad un sentimento esteriore e passeggero, di facciata e convenzionale, ma esprime un coinvolgimento profondo, un turbamento reale di Gesù per la condizione del lebbroso. La condizione del lebbroso entra intimamente nel cuore di Gesù, lo coinvolge profondamente, lo scuote, lo turba, lo sconvolge nel più profondo del suo essere, al punto tale che, pieno d’amore, lo spinge ad avvicinarsi al lebbroso e a toccarlo: l’amore spinge al contatto, l’amore spinge a coinvolgersi, a compromettersi, a sporcarsi le mani, a venire a contatto con colui che è entrato profondamente nel proprio cuore. L’amore porta alla condivisione, all’intima unione, all’incontro: e questo contatto è salvifico, un contatto che guarisce, sana, salva. Il contatto dell’amore che spezza ogni barriera, ogni paura, ogni ordine prestabilito, ogni convenienza, ogni consuetudine. L’amore è qualcosa di divino che entra nella fragilità umana e la salva.

  1. Ma quello si allontanò e si mise a proclamare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una citta.

Gesù consapevole della sua azione invita il lebbroso guarito a tacere e ad andare immediatamente dai sacerdoti affinchè certificassero la sua avvenuta guarigione e potesse ritornare a vivere serenamente nella società. Invece il guarito comunica il fatto a tutti. E la gente, invece di essere contenta dell’evento di guarigione, e partecipare alla sua gioia, vuole indagare, conoscere come è avvenuto il fatto. La gente invece di partecipare alla gioia della guarigione e cogliere il senso profondo della novità di vita, invece di cogliere in questo evento un segno di novità di Dio nella storia, nella loro storia, considera Gesù un appestato, colui che toccando il lebbroso, ne è rimasto infettato e quindi lui pure un emarginato, colui che non può venire a contatto con la società, ma se ne deve stare fuori, ai margini: Gesù viene considerato appestato, lui pure infettato, colui che deve urlare la sua condizione di ‘impuro’ e dal quale ci si deve staccare, separare.

Tutto questo cosa ha a che fare con la mia vita oggi? Evidenti possono essere alcuni riferimenti alla situazione pandemica che stiamo vivendo oggi: i protocolli sanitari che per proteggere la società costringono i ‘positivi’ ai controlli, e rimanere in quarantena, totalmente isolati, separati dagli altri e di assumere un comportamento adeguato, in modo che la società possa difendersi; tutto questo ha portato e sta portando la società ad un isolamento sempre più drammatico, ad un senso di sfiducia totale tra le persone, alla paura degli altri, al terrore di essere contagiati, all’angoscia di uscire per le strade, a fronte anche di espressioni di irresponsabilità di tante persone che non rispettano le regole. Da un anno ci troviamo in questa situazione: dalle prime entusiaste, emotive, insulse espressioni: ‘andrà tutto bene’, al totale smarrimento di ciascuno di sentirsi sicuro solo con se stesso, e forse neanche questo; da un preghiera angosciante ed individualistica di non essere contagiati, al senso di sfiducia che neanche Dio può fare qualcosa; da una entusiastica fiducia nella scienza capace di risolvere tutti i problemi umani, alle perplessità dell’efficacia del vaccino a fronte delle varianti del virus; da un continuare a vivere come se il virus non ci coinvolgesse, allo scaricare sugli altri le personali responsabilità; dal pretendere di essere difesi e non toccati nella propria e familiare privacy, alla pretesa arrogante e immediata di indagare sulla vita e sui comportamenti altrui; dal non comunicare tempestivamente la corretta e doverosa informazione ai responsabili, alla diffusione sui social di notizie non corrette, infondate: siamo maturati, cresciuti come uomini e donne, e la fede in Gesù ci illumina e ci sostiene o no?

Il lebbroso era con sapevole della propria situazione: e noi lo siamo della nostra, oggi, in questo tempo di pandemia? Siamo consapevoli di essere fragili, deboli, ma preziosi agli occhi di Dio? Che la nostra condizione umana è debole, fragile, ma stupenda agli occhi di Dio, al punto tale che Dio stesso l’ha voluta assumere fino in fondo? Siamo consapevoli che non siamo eterni, che non possiamo trovare in questa vita l’assicurazione definitiva e totale, che non siamo autosufficienti o padroni della nostra vita, che non possiamo disporne come vogliamo? Siamo consapevoli che la fragilità e la debolezza sono alcune caratteristiche della nostra umanità e dentro queste siamo inviati a fare della vita un luogo ed un tempo in cui accade ’amore’ di Dio che si prende cura di noi in modo che anche noi possiamo prenderci cura gli uni degli altri, facendo della nostra vita un dono a chi incontriamo, specie a chi si trova nella sofferenza e nel dolore? Siamo consapevoli che, dopo tutte le precauzioni e le attenzioni possibili, possiamo anche essere contagiati dal virus ed ammalarci e la colpa non è di nessuno, nemmeno di Dio, e che questo contagio non è il suo castigo per le nostre azioni, che non siamo appestati e maledetti, ma che Dio in Gesù ci è vicino, è prossimo a noi, e nella misura in cui ci affidiamo a lui, ci ‘tocca’ e ci salva?

Tra poco, attraverso il sacramento eucaristico, veniamo a contatto con il Signore: veniamo toccati dal Corpo di Cristo. Il Signore non ha paura di essere infettato da noi, di essere contagiato dalla nostra fragilità umana, di venire a contatto con la nostra miseria. E toccandoci ci guarisce, ci salva dal nostro male, dal virus che ci investe, nella misura però in cui ne siamo consapevoli e riconosciamo che solo Dio ci può salvare. Il contatto eucaristico, l’accogliere nelle nostre mani il Corpo di Cristo, il cibarci della sua vita possa alimentare la nostra speranza, sollevare il nostro spirito affranto, sostenere la nostra volontà a continuare a vivere la vita con le sue gioie e dolori, alimentare la nostra fiducia, illuminare i nostri occhi a vedere chi soffre, a prenderci cura gli uni degli altri, ad infiammare i nostri cuori per continuare ad amare ancora e sempre.

 

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