Domenica I di Avvento
Omelia di Don Edmondo Lanciarotta – Parroco
Abbiamo acceso la prima delle quattro candele della ‘corona dell’avvento’, che indica la prima Domenica di Avvento con la quale iniziamo anche un nuovo anno liturgico: un anno di grazia per tutti, un tempo che ci viene offerto perché il nostro tempo che chiamiamo ‘cronos’, cioè che inesorabilmente passa, scorre, portando via tutto, possa essere abitato dal ‘kairos’, cioè dalla grazia e dalla benevolenza di Dio; in altre parole, attraverso il sacramento che celebriamo, attraverso il mistero dell’eucaristia di domenica in domenica abbiamo ancora e sempre più il dono di poter accogliere frammenti di eternità e di grazia, cioè il ‘kairos’, nella nostra vita, nel nostro tempo, ‘cronos’, in modo che diventi sempre più un tempo abitato dall’eternità, dalla grazia di Dio, cioè un tempo di salvezza.
Attraverso il sacramento noi veniamo messi nelle condizioni di diventare ‘contemporanei’, e quindi anche ‘protagonisti’ degli eventi di salvezza compiuti da Dio nella storia e che se accolti da noi, non si disperdono nel ‘cronos’, non svaniscono nella cronaca, nel nulla, ma diventano grazia e salvezza per la nostra vita.
1. Un nuovo inizio.
Con questa celebrazione, allora, iniziamo un nuovo anno liturgico, un nuovo avvento del Signore, una nuova attesa della sua venuta nella storia. Questo non vuol dire che è una ‘ripetizione’ dell’anno scorso o di uno degli anni precedenti, non è una ‘fotocopia’ degli anni passati: è qualcosa di nuovo, di inedito, di unico, di irripetibile, non solo perché quest’anno ci troviamo in mezzo ancora alla pandemia, all’emergenza sanitaria e non sappiamo se celebriamo o meno la messa di mezzanotte o se facciamo o meno il cenone di natale o se possiamo o meno andare in montagna e passare le feste con i familiari fino a notte fonda, per conservare il detto ‘a natale con i tuoi e a pasqua con chi vuoi’… La ‘novità’ dell’anno liturgico con questo inizio di ‘avvento’ non consiste nel registrare la nostra cronaca, la cronaca di quanto sta accadendo, ma di scoprire che il Dio che è venuto nella storia tanti anni fa, verrà in maniera definitiva alla fine dei tempi, attraverso il sacramento che ‘oggi’ viene celebrato; questo stesso Dio viene nella nostra vita, e continua a venire perchè noi lo possiamo accogliere, possiamo fargli spazio nel nostro spazio di vita, lo possiamo accogliere nel nostro tempo di vita: cioè nel vivere quotidiano, cioè ‘oggi’, in questa pandemia, oggi, con le nostre povertà e miserie, oggi, con i nostri atti di bontà e di solidarietà, oggi, riuscire a scoprire la sua venuta, e quindi accoglierlo ancora, in modo che il suo venire porti a tutti salvezza e grazia e quindi gioia e festa, in questo nostro tempo, in questa nostra storia.
Avvento vuol dire ‘venuta’. Con l’avvento la chiesa intende ricordare’, cioè rimettere nel cuore, che rimane in attesa del suo Signore: Cristo è già venuto, ma deve ancora venire. Con questo atteggiamento tutti noi siamo invitati a cercare nel futuro il senso profondo del nostro vivere, cercare colui che viene, colui che sempre viene incontro a noi, davanti a noi: Dio.
Attraverso il sacramento che celebreremo di domenica in domenica in questo anno liturgico, abbiamo la grazia, il dono di vivere in maniera diretta gli eventi della salvezza, in modo che la nostra storia umana diventi una storia santa, una storia di salvezza, e quindi il nostro tempo ’cronos’, diventi un ‘kairos’, grazia, benedizione, salvezza. Quest’anno saremo accompagnati dal vangelo di Marco con qualche pagina del vangelo di Giovanni.
2. ’Fate attenzione, vegliate’.
Se Dio viene sempre, ci viene incontro sempre, vuol dire che siamo inviatati a vegliare, come sentinelle, pronti ad accoglierlo quando verrà. E’ l’invito che abbiamo sentito ripetere in queste ultime domeniche, quelle con le quali abbiamo terminato l’anno liturgico. Abbiamo appreso, attraverso le parabole che ci sono state raccontate, che il senso della vita, il fine della nostra storia consiste nell’attendere Colui che viene, nel trovarci svegli, desti, pronti, con le lampade accese, cioè con il cuore caldo, con la luce negli occhi, cioè con il desiderio ardente di incontrare Colui che sta per venire per essere da lui accolti e chiamati a condividere la sua beatitudine nella festa di nozze del Figlio, cioè a partecipare al banchetto di nozze, cioè alla festa della vita eterna. Questo è il senso della vita secondo l’annuncio del Vangelo: ci domandiamo se ha senso vivere in attesa di Colui che viene. Domandiamoci se questo tempo di attesa è tempo vuoto, tempo sterile, tempo da perdere, tempo inconcludente, oppure tempo pieno, tempo di passione, tempo di speranza, tempo di gioia, tempo di perseveranza; tempo durante il quale il cuore di colui che attende, pur nelle e attraverso le vicende belle e brutte della vita, attraverso i drammi e le consolazioni della vita, il cuore resta sveglio, desto, in attesa. Ecco l’invito a non addormentarci, a non distrarci, a non vivacchiare, cioè a vegliare. Occorre fare molta attenzione perché il nostro tempo il ‘cronos’, non ci stordisca. E lo stordimento avviene o per le emozioni che eccitano e poi svaniscono di fronte alla realtà, o per la tristezza che paralizza la volontà e brucia la speranza. Il tempo di attesa è tempo di fiducia, in Dio che è fedele alle sue promesse e che continua sempre a rivelarsi misericordioso e buono. Un Dio che con la venuta del Figlio nella storia non se n’è mai allontanato da essa.
Forse noi viviamo anche uno stordimento particolare in questo tempo, un oblìo dell’avvento, nel senso che non riusciamo più ad attendere, perchè troppo appesantiti dal nostro passato, dai nostri sensi di colpa, oppure, troppo appiattiti sul presente, sulla cronaca, sugli eventi che ci eccitano e poi ci illudono, lasciandoci amareggiati e delusi e sconfitti. L’avvento, invece, questo tempo che ci viene offerto, ci permette di attendere che il Dio venuto nella storia venga ancora nella nostra storia. Un Dio che, possiamo dire, pur rimanendo Dio ha voluto e continua a volere diventare uomo, ha assunto la nostra condizione umana, creaturale e povera e fragile: ha assunto pienamente la nostra condizione di vita terrena. Spesso siamo tentati di abbandonare questa vita creaturale, fragile e misera, e di aspirare vivere una vita divina, beata, cioè straordinaria secondo le nostre immagini e desideri materialo, senza sofferenze e prove e dolori ed affanni. Ebbene il Dio che è venuto nel suo Natale e che ancora viene, ha voluto sperimentare questa nostra condizione umana pienamente: il che vuol dire che la nostra vita è preziosa ai suoi occhi, che la vita umana, con le sue gioie e sofferenze, è stata vissuta perfino da un Dio. Il Santo di Dio entra nella nostra condizione di uomini e donne, di peccatori, di poveri. Questa certezza è Gesù. Il Figlio di Dio fatto uomo. Allora anche per noi la nostra stessa vita, che spesso non corrisponde alle nostre aspettative, può diventare una vita divina. Tutti i momenti di vita umana se vissuti come Gesù li ha vissuti nella sua vicenda terrena possono diventare frammenti di eternità, che riempiono di eternità il nostro tempo terreno e lo fa diventare appunto divino.
3. ’Voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà…vegliate’.
L’insistenza dell’invito a ‘vegliare’, il verbo ripetuto quattro volte in pochissimi versetti del Vangelo evidenzia un pressante invito, rivela una dimensione fondamentale della fede, e possiamo dire anche della vita. Presenta un’umile confessione che non siamo autosufficienti, che non siamo assoluti, che non possiamo pensare di bastare a noi stessi, ma che la nostra vita ha senso solo se in relazione a qualcuno, a qualcosa di significativo: per il credente a Colui che viene: è la relazione con chi amiamo che dà senso e significato alla nostra vita. Il senso della vita di una mamma è trovato nella relazione con il figlio, di vivere prendendosi cura del figlio, di essere in attesa del figlio, di vivere il tempo di attesa piena, per preparare adeguatamente la casa, il cibo, la protezione al figlio che arriva. Tutto questo non è un obbligo, è una felicità la felicità del donare. Occorre riscoprire nella verità del nostro cuore il senso profondo della nostra attesa, chiederci chi e che cosa attendiamo, cioè quella realtà che possa realizzare in pienezza la nostra vita.
Alla luce dell’invito evangelico possiamo affermare che il Signore verrà: allora il nostro tempo è come una notte, in attesa del ritorno del Signore. A tutti noi il compito di diventare ‘sentinelle’, compito del ‘portinaio’, quello di stare attenti. Allora l’avvento ci insegna che cosa fare: andare incontro al Signore. Il vangelo ci dice come farlo, indicando due atteggiamenti: ’vegliate e fate attenzione’.
Preghiamo il Padre, perché scoprendoci noi opera delle sue mani, possiamo attendere vigilanti con amore irreprensibile la gloriosa venuta del Figlio suo, nostro Signore.