Omelia di Don Edmondo Lanciarotta – Parroco
E’ la domenica comunemente detta del ‘buon pastore’, anzi del ‘bel pastore’ che, conosce le sue pecore, le chiama ciascuna per nome ‘ e le conduce ai pascoli eterni: Gesù si presenta come Colui che instancabilmente conduce tutti all’incontro con il Padre. Tuttavia la chiave di lettura più precisa del vangelo odierno è data da quest’espressione di rivelazione di Gesù: ”Io sono la porta delle pecore”.
1. ”Chi entra dalla porta è il pastore delle pecore”.
Nelle parole di Gesù si può leggere il messaggio del profeta Ezechiele: Gesù rivela se stesso e si presenta come il Messia promesso da Dio servendosi di immagini familiari agli ebrei, quali quella del pastore, del gregge e dell’ovile. Ai contemporanei di Gesù suonava familiare la terminologia pastorale trasportata sul piano religioso. Molti volte i profeti lo avevano fatto affermando Dio stesso che guida il suo popolo, (Ez 34), di Dio che è ‘il pastore di Israele’ (Gn 49,24, Is 40,11; Salmo 80) che aveva fatto uscire il popolo dalla schiavitù dell’Egitto, attraverso la ‘porta’, cioè il Mar Rosso, per entrare nella Terra Promessa.
Qui Gesù spiega in maniera esplicita il paragone del pastore. Il pastore è Gesù stesso, anzi egli è il pastore del gregge ed è la porta dell’ovile attraverso la quale il gregge entra ed esce come a casa propria. Il gregge chi è? Il gregge significa l’umanità; ma in primo luogo il gregge rappresenta la comunità degli uomini che Gesù ha raccolto intorno a sé, chiamandoli per nome: i dodici apostoli e i discepoli, cioè la comunità che formerà la Chiesa. Gesù è il buon, il bel pastore della chiesa, poichè ne è il capo vero, la guida spirituale e reale di tutta la chiesa. La novità fondamentale di quest’insegnamento di Gesù, incentrato sulla sua persona e sulla sua missione, viene espresso da due parole di autorivelazione che Gesù proferisce per definire se stesso: ’Io sono la porta delle pecore’, e ‘Io sono il buon pastore’. Con queste due espressioni Gesù rivendica a se l’identità e l’autorità del Messia promesso da Dio. Ma questa similitudine non viene capita dai giudei, anzi li sconcerta specie quando Gesù applica a sè alla sua persona quel medesimo ruolo di guida e di Salvatore svolto da Jahvè nell’Antico testamento. Questa è la novità inaudita del suo messaggio. Le parole di Gesù ‘Io sono il buon pastore delle pecore. Io sono la porta della pecore’, stanno a significare che Gesù manifesta una coscienza esplicita di essere e di operare al livello stesso di Dio. Come Jahvè, Gesù si presenta pastore del suo popolo. Qui tocchiamo uno dei momenti più alti di rivelazione di Dio: in Gesù scopriamo un’interiorità straordinaria della sua identità e della sua coscienza di essere Figlio di Dio.
Il senso del ‘bel pastore lo possiamo ritrovare nel ritornello del famoso sal 22:’IlSignore è il mio pastore non manco di nulla’. E tutto il salmo esplicita e rivela la guida che Gesù svolge nella chiesa a beneficio dell’umanità intera: di farci passare attraverso la porta che è lui stesso per entrare, senza prendere paura di camminare in una valle oscura, in una situazione nuova di liberazione, di prosperità, di felicità.
2. ”Io sono la porta delle pecore”.
Gesù prosegue nella rivelazione della sua identità profonda e della sua missione esplicitando il senso nascosto delle sue parole con l’immagine del pastore ed afferma: ’In verità , in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Gesù, allora è la ‘porta’, unica ed insostituibile della salvezza. Come il recinto delle pecore ha una solo ingresso, attraverso il quale entra ed esce il pastore legittimo, così c’è una sola via di salvezza per gli uomini in Dio; c’è un solo accesso verso il Padre. Questo accesso è occupato da Gesù in persona. Egli non solo ne è il custode, ma anzi è la porta stessa. Con questa auto designazione Gesù legittima la sua qualifica di ‘buon pastore,’ di ‘bel pastore’ e di pastore unico del gregge. In questo modo, Gesù presentandosi unico depositario della salvezza, avanza la pretesa assoluta di essere il Messia ed il Salvatore dell’umanità, di essere cioè il Messia accreditato da Dio per porre la salvezza definitiva a tutti gli uomini, fino ai confini del mondi. Considera quella degli altri ‘pastori’ prima e dopo come un furto, e la loro opera non semina altro che morte e distruzione. In netta opposizione con questi falsi pastori, profeti, salvatori Gesù testimonia la finalità originaria della sua persona e del suo ruolo di guida , di ‘pastore’:’Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’.
Gesù allora è la porta di Dio aperta verso l’uomo, per il suo futuro di speranza, di libertà e di salvezza, precisamente perchè egli ci ha aperto e ci dona il mistero dell’amore di Dio. A questa espressione di rivelazione di Gesù: ’Io sono la porta’, possiamo accostare anche altre simili e importantissime affermazioni di Gesù che rivelano la sua identità, la sua missione, la sua trascendenza, la sua unicità: ’Io sono la via, la verità , la vita’, ed anche: ‘Io sonio la luce del mondo’, ’Io sono il buon pastore’.
3. ”(il pastore) chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori…cammina davanti ad esse e le pecore lo seguono perchè conoscono la sua voce”.
Gesù, il Crocifisso Risorto cammina in mezzo a noi, si presenta come ‘buon…bel pastore’. E Gesù conosce bene il suo gregge, e soffre perché lo vede come un gregge senza pastore. Infatti, Pietro, prima di incontrare Gesù è un errante; Tommaso prima di toccare nelle ferite del Crocifisso Risorto è un errante; i discepoli di Emmaus erano erranti nel loro camminare desolato e triste. Ma tutti sono stati avvicinati dal Risorto. Noi tutti siamo erranti, ma raggiunti dalla cura del Risorto nei luoghi e nei tempi delle nostre sconfitte. La dolce ostinazione di Gesù risorto di presentarsi ai suoi amici e di condurli fuori per le strade della missione dovrebbe rivelare a ciascuno di noi la pressante ed appassionata cura del Risorto di avvicinarci a ciascuno di noi, a chiamarci per nome, a condurci, attraverso sentieri talora difficile, oscuri e faticosi, verso la pienezza di vita, una vita piena, in abbondanza, oltre misura, eccedente, traboccante.
A noi cosa resta da fare? Che dobbiamo fare? Riconoscere la voce del pastore e seguirlo ovunque lui vada, affidando a lui la nostra vita, riconoscendo che lui è la nostra vita, la salvezza.
Indispensabile diventa riconoscere la voce del pastore tra tutte le altre voci ‘ingannevoli e devianti’ che ci distraggono e ci portano, attraverso l’illusione, alla morte; quindi seguire il pastore. Seguire non vuol dire solo camminare, ma andargli dietro perché ci si affida e si condivide le sue scelte. Diventare, cioè, discepoli del Risorto ovunque lui vada, non importa dove. Quello che è importante è stare con lui, andare dietro a Lui. Noi tutti sappiamo, per fede che Gesù è Risorto, che è vicino a noi: ciò che diventa talora difficile e contemporaneamente indispensabile è riconoscerlo, proprio, appunto, come è accaduto ai discepoli di Emmaus: Gesù è presente, ma loro non riconoscono, non riescono a riconoscerlo, non perché Gesù ha assunto un volto sconosciuto per apparire in incognito, ma perché ì loro occhi non avevano la forza per riconoscerlo. Quindi non tocca Gesù cambiare volto, bensì ai discepoli cambiare lo sguardo. Quella dei discepoli è un’incapacità profonda che investe mente e cuore: occorre un nuovo modo di guardare. Ma la condizione per poterlo vedere e riconoscere è quella di ascoltarlo, cioè ascoltare, ascoltare, ascoltare la Parola di Dio che illumina lentamente e progressivamente la nostra storia umana, che rivela il senso profondo degli eventi personali e comunitari. Ascoltarlo, sempre, ogni giorno, essere in continua tensione verso di Lui, presente e vivo, per saper distinguere la sua voce da quella delle altre voci: tra la facile soddisfazione e il sacrificio per il rispetto dell’altro; tra la sete di potere che reclama tutto per se e l’amore umile e rispettoso che tutto dona e nulla vuole; tra le risposte facili e scontate che ci danno ragione e la paziente e perseverante e fedele obbedienza alla volontà di Dio; tra il voler conservare la propria vita per se stessi e quella di donarla a chi si trova nel bisogno.
Il ‘Buon Pastore’, il ‘Bel Pastore’, Gesù, Risorto che ha dato la sua vita per noi, ci conosce personalmente e in profondità, ci chiama per nome, ci conduce alla felicità eterna.
Preghiamo perché ognuno sperimenti questa personale chiamata del Risorto e sappia riconoscere la sua voce e abbia la forza per rispondere immediatamente alla sua chiamata e di seguirlo nel cammino della vita fino ai pascoli eterni dell’Amore.