Domenica 5^ di Pasqua 10 Maggio 2020

Omelia di Don Edmondo Lanciarotta – Parroco

Il Vangelo di questa domenica (ed anche della prossima) fa parte del discorso di Gesù, raccolto dall’evangelista Giovanni, nell’ultima cena, così detto ‘il discorso dell’addio’: Gesù, dopo aver spezzato il pane e versato il vino, dopo aver lavato i piedi ai discepoli, dopo aver consegnato loro il comandamento dell’amore, si congeda dai discepoli; in realtà, possiamo dire, per lui è venuta l’ora di ‘passare’ da questo mondo al Padre (Gv 13,1), e così è naturale che si proponga come  ‘via al Padre’. Gesù rivela tutto di sé, comunica in quell’intimità straordinaria e drammatica, tutta la rivelazione di Dio, la sua intima relazione con il Padre ed in questa relazione desidera inserire tutti noi, per sempre. Nel vangelo di domenica scorsa Gesù si presentava come ‘la porta’ per entrare in Dio, cioè nella salvezza, poi, come il ‘pastore’ che ci conduce ai pascoli eterni della salvezza; nel vangelo odierno si rivela come la ‘la via, la verità  e la vita’.

Questa parola di autorivelazione del mistero di Gesù è un vertice che fonda il nostro essere discepoli, quindi cristiani. Dobbiamo senz’altro chiederci se ne siamo coscienti. Ci interessa veramente Gesù per andare al Padre? Siamo, cioè coscienti che vedendo le opere di Gesù e ascoltando la sua Parola, oggi, nella predicazione della Chiesa, nella celebrazione dei sacramenti ‘vediamo’ il Padre?

1. ”Non sia turbato il vostro cuore”

Gesù ha terminato il pasto pasquale e ha consegnato tutto se stesso nei segni eucaristici, e va incontro liberamente alla passione, e, di lì a  poco, al suo ‘turbamento’ carico di angoscia nell’orto degli ulivi. Ebbene, Gesù fa animo e infonde coraggio ai suoi amici. Gesù sta per essere tradito, rinnegato, incatenato e sottoposto al processo, e i suoi amici, nell’intimità della cena, entrano in uno stato di disorientamento profondo. Gesù annunzia che un amico lo sta per  tradire, che un altro lo rinnegherà tre volte e che egli sta per lasciarli definitivamente da questo mondo con la sua dipartita al Padre. Di fronte a tutto questo gli apostoli piombano in una commozione, meglio in un turbamento di morte. Gesù si fa presente al turbamento dei suoi amici, è solidale con la loro sofferenza e con la loro paura: li incoraggia a non perdersi d’animo, li esorta a rendere saldo il loro ‘cuore’, anzi  a continuare ad avere fede in lui, ad aver fede in Dio. Questa esortazione può essere anche interpretata come un credere in Dio, un continuare ad aver fede in Lui, ancora e sempre, nonostante tutto quello che può accadere e sta per accadere. Aver fede in Gesù è aver fede in Dio, e viceversa: in altre parole è una sola e identica fede. In queste parole possiamo intravvedere l’esortazione di Gesù alle sorelle di Lazzaro morto. E come allora, ora qui, Gesù esorta i suoi amici a fidarsi ancora di  lui. Perché: “chi crede in me in realtà non crede in me, ma in Colui che mi ha mandato”(Gv 12,44), poiché:  “chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (12,45). L’atteggiamento di Gesù è  quello di rafforzare la fede dei suoi amici per prepararli allo scandalo della croce. Contemporaneamente ribadisce che ‘aver fede in Gesù’ è la cosa più importante per i discepoli e per tutti i cristiani. Solo nella luce della fede, risposta dell’uomo alla fedeltà indefettibile di Dio, si possono leggere, con speranza di vittoria, gli eventi dolorosi che stanno per abbattersi su Gesù. Questa fede non è altro che l’ancorarsi dell’uomo, che si scopre sempre più  fragile, debole e impotente,  povero e bisognoso, alla fedeltà e all’onnipotenza di Dio. Credere è allora costruire la vita fermamente su qualcuno, cioè su Dio rivelato da Gesù, e che è Gesù stesso, cioè su quella  roccia, su quella ‘pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio” di cui parla la seconda lettura (1 Pt 2.4). In questo modo vivendo con fede in stretta sintonia di vita con Gesù, gli stessi credenti vengono impiegati da Dio come “pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo”( 2 Pt 2, 4-5), cioè diventare la sua Chiesa oggi e per sempre.

2. ”Io sono la via, la verità  e la vita”

A conferma di quanto detto da Gesù e in risposta alla domanda di Tommaso che ancora non si rende conto della profondità della parola di rivelazione di Gesù, ecco che Gesù approfondisce ulteriormente  rivelando con solennità la sua identità con l’espressione ‘Io sono’, che nella Sacra Scrittura è rivolta unicamente e solo a Dio;  è in altre parole la parola stessa di Dio. Dio quando si rivela si rivela con questa espressione: ’Io sono’, che Gesù evoca a se, la fa sua  e la riempie di senso e pienezza affinchè gli amici la possano accogliere. Rivela la profonda intimità e identità divina tra il Padre e il Figlio. Così la ‘dimora’ di cui parla Gesù, cioè ‘la casa del Padre mio’ è lo stesso essere del Padre, cioè quello ‘stato’ o condizione di gloria e di felicità, propri di Dio; di esse godranno anche i seguaci, i credenti in Gesù, poichè la meta finale del Cristo è la stessa meta dei discepoli. Queste dimore sono ‘molte’, come molti sono i discepoli , cioè in Dio c’è posto per tutti.

A Tommaso resta oscuro sia il mistero del Padre (dove vai), sia il mistero di Gesù (la via). Gesù risponde presentandosi come la ‘via’, la strada’ di ‘rivelazione’,  cioè di verità e di vita; è un modo umano per far capire ai discepoli che lui, Gesù è l’unica via per giungere al Padre. Qui come accennavo all’inizio tocchiamo uno dei massimi vertici  più significativi del Nuovo Testamento. Su questa espressione: ’io sono la via, la verità e la vita’ sono stati versati, possiamo dire, fiumi e fiumi di inchiostro. Sono parole uniche nella storia umana e religiosa, non conoscono nessun parallelismo, né nella storia  di fondatori di religione, né nella letteratura  o filosofia.  Queste parole ci pongono davanti a una novità assoluta, che è lo stesso mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio, rivelatore unico del Padre, morto e risorto, il Signore, il Giudice universale, il Vivente nella storia.

3. ”Chi ha visto me ha visto il Padre”.

E’ come dire che tra il Padre e il Figlio c’è comunanza di ‘essere’: ”Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?” viene detto a Filippo che desiderava vedere il Padre. ”Credetemi, io sono nel Padre e il Padre è in me”: c’è reciprocità di opere e queste opere dimostrano la comunanza  di natura, cioè sono  e restano ‘Dio’; inoltre,  tra il Padre e il Figlio c’è comunanza di rivelazione: “le parole che io vi dico non le dico da me, ma le dico come il Padre le ha dette a me”: Gesù così è la Parola eterna di Dio, è il Verbo, la Parola fatta carne, che manifesta visibilmente Dio nella sua umanità, espressione della divinità. Tutto  quello che Dio voleva dire agli uomini lo ha detto in e attraverso  Gesù, nella sua parola e nella sua azione, nella sua storia e vita terrena. L’evangelista cerca con espressioni umane di comunicarci tutto  questo, di farcelo almeno intuire, percepire: questa rivelazione è talmente alta che nessuna interpretazione può  esaurirla.

E noi?

Qual è il nostro turbamento in questo momento della nostra storia umana e comunitaria? Come allora per i discepoli, anche per noi, il turbamento non è solo un dispiacere  psicologico per la perdita di una persona cara, ma un dispiacere esistenziale del discepolo che vede scomparire l’unico punto di riferimento della propria vita. Anche noi veniamo condotti ad abbandonarci a Gesù, affinchè il nostro vivere e il nostro morire sia come quello dei discepoli, un ritorno a Dio. La fede non elimina la paura, ma la trasforma da muro invalicabile a passaggio da varcare. La fede cammina per le strade della vita tenendo per mano la paura, contro il rischio d’irrigidirsi in prepotente dogmatismo e rimanere umile ricerca e temerario abbandono.

Anche noi come Filippo e Tommaso, siamo  incapaci, impotenti e inadeguati davanti al mistero di Dio, ma possiamo scoprire nelle domande da loro poste l’umile itinerario di fede della comunità dei credenti.

Infine, possiamo anche scoprire che non siamo noi la via, né la verità o la vita: tuttavia, se  seguiamo Gesù possiamo mostrare attraverso le nostre strade battute, attraverso il nostro vivere quotidiano, fragile e debole, le trame relazionali di fraternità e le esistenze che diventano dono gratuito, cioè, possiamo mostrare il vero volto di Gesù. E così la domanda posta da Filippo a Gesù: ‘Mostraci il Padre’, diventa anche la sfida a noi rivolta, ogni giorno da coloro che ci osservano e attendono da noi la risposta. In altre parole, la chiesa in quanto tale non può non rivelare il volto di Dio all’uomo che lo cerca: quindi a tutti coloro che sperimentano l’essere chiesa è consegnata questa meravigliosa opera, missione, compito: mostrare Dio all’uomo che lo cerca, diventare compagno di viaggio con tutti coloro che in Gesù camminano nella ‘Via, verità e vita’

 

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