Domenica 5^ di Pasqua   2 maggio 2021

Omelia di Don Edmondo Lanciarotta  –  Parroco

Dopo il dramma della passione e morte di Gesù in croce, anche la sera di quel ‘primo giorno dopo il sabato’, che si era aperto con l’annuncio della sua risurrezione ed aver constatato la tomba vuota, i discepoli sono smarriti e rinchiusi in casa e ancora increduli: e così Gesù risorto si fa presente e sta in mezzo a loro, mostra i segni della sua passione spezza il pane con loro e spiega il senso degli eventi accaduti alla luce della Sacra Scrittura.

Così di otto giorni in otto giorni i discepoli sempre radunati nel luogo della comunità sperimentano la presenza del Risorto in mezzo a loro, spezzano il pane e un po’ alla volta comprendono il senso della loro esistenza con Gesù nell’ascolto della Parola di Dio e giungono alla professione della fede in Gesù Crocifisso e risorto. Nei loro incontri ripensano e ricordano le parole dette da Gesù quando era con loro e comprendono il senso sempre più profondo degli eventi accaduti, delle sue azioni e così in po’ alla volta diventano fedeli, gioiosi, credibili testimoni di Gesù, perché scoprono che la sua esistenza è significativa per la loro vita: scoprono che la sua vita e il suo messaggio è la bella notizia, il lieto annuncio di cui il mondo ha bisogno: così non possono non annunciarlo e testimoniarlo con la loro vita quotidiana. E dalla predicazione, si arriva poi alla composizione dei vangeli per non disperdere questo stupendo inedito annuncio e per poterlo trasmettere a tutti e per sempre.

E così si arriva fino a noi, che di otto giorni in otto giorni ci raduniamo nel luogo della comunità e, anche se smarriti, increduli, impauriti e dubbiosi per quanto accade ogni giorno nella nostra vita, sperimentiamo la presenza del Risorto nella celebrazione eucaristica, ascoltiamo la parola di Dio attraverso le Scritture che vengono proclamate e mangiamo il pane della vita: ci nutriamo e così anche per noi accade quello che è accaduto ai discepoli: la nostra fede cresce, i cuori si infiammano, i volti si rallegrano, gli occhi si illuminano, la volontà si rafforza e, pur con limiti e fragilità, diventiamo testimoni del vangelo di Gesù a tutti coloro che incontriamo nel cammino della vita: testimoni non con le parole, ma con la nostra stessa vita, il nostro comportamento quotidiano.

Il vangelo di oggi è l’inizio di quello che viene chiamato il ‘secondo discorso di addio di Gesù’ pronunciato nell’ultima cena e raccolto dall’evangelista: possiamo dire che questi ’discorsi di addio’ sono come il condensato del testamento di Gesù, anzi un ‘distillato’ del pensiero di Gesù in queste poche parole, pregnanti espressioni, profonde affermazioni, così come è stato accolto, compreso, custodito, vissuto, trasmesso dai diretti testimoni, e che giunge a noi. Certamente queste parole le abbiamo ascoltate tante volte, ce ne siamo cibati tante volte nel corso degli anni della nostra vita. La comprensione piena e definitiva è sempre da raggiungere, non è mai conclusa, così come era accaduto prima ai discepoli, che hanno ascoltato tante e tante volte Gesù pronunciare queste sue parole rivelando in esse il mistero della sua vita nella relazione con il Padre per la salvezza del mondo.

  1. Gesù disse a i suoi discepoli. ‘Io sono la vite vera, il padre mio l’agricoltore…voi i tralci’.

Domenica scorsa Gesù aveva detto, nel suo ‘primo discorso di addio’: ‘Io sono il buon pastore’. Oggi prosegue nella sua rivelazione affermando: ‘Io sono la vera vite’. L’immagine della vite nell’Antico Testamento è associata alla vigna, usata molto spesso per descrivere il rapporto tra Dio e il suo popolo, sia nella bellezza di un’armonia e di una cura premurosa, che nell’ingratitudine dei vignaioli verso il padrone e nella bassa qualità dei frutti. Gesù concentra il tutto su una pianta, la vite e subito si percepisce la stretta relazione della vite con il vignaiolo, e ancor più profondamente tra la vite e i tralci: unità straordinaria, unica, un’identità in cui non si riesce a distingue dove finisce l’uno, la vite e dove inizia l’altra, i tralci. Vite e tralci sono inscindibili: è impossibile stabilire un confine netto e preciso. E questa immagine ci fa intuire che Gesù non riesce a pensarsi senza i suoi discepoli, come la vite senza i tralci. Un legame che va ben oltre i nostri alti e bassi psicologici, le nostre buone o cattive condizioni.

Chiediamo la grazia allo Spirito per comprendere più profondamente possibile il senso di questa immagine riferita alla nostra relazione con Gesù. L’esperienza quotidiana, con i suoi drammi e sofferenze, con le sue fragilità e fatiche, spesso ci porta a pensare e ritenere di essere abbandonati dal Signore, di esser dimenticati da lui, di non essere ascoltati, peggio, talora, anche puniti o castigati, per nulla protetti, difesi, sostenuti, salvati. Eppure quest’immagine è di una limpidità e di una chiarezza indescrivibili e indubitabili, che afferma proprio l’opposto di quelle che sono le nostre sensazioni, percezioni, considerazioni e conclusioni: Gesù è fortemente compromesso con ciascuno di noi, è intimamente in relazione con ciascuno di noi.

Sorge immediatamente una domanda: come è possibile superare questa contraddizione tra l’esperienza che quotidianamente facciamo di ‘essere abbandonati’ dal Signore con l’affermazione di Gesù che rivela un’intimità profonda con ciascuno di noi?

  1. ”Rimanete in me ed io in voi…chi rimane in me ed io in lui, porta molto frutto”

Questa è la risposta: ‘rimanere’. In sei versetti del vangelo per ben sette volte è nominato il verbo ‘ rimanere’. Un’insistenza chiara ed esplicita dell’importanza decisiva . Questa è la condizione per portare frutto, per non seccarsi ed essere tagliati e bruciati. Occorre non rompere, non spezzare la relazione, non tagliare il legame con il Signore, in altre parole occorre non impostare la propria vita da soli, autonomamente, indipendentemente dal Signore, non impostare la vita in modo autoreferenziale, pensando di bastare a noi stessi, individualisticamente, ma conservare, proteggere, custodire, vegliare sulla relazione con il Signore, assicurare che la relazione non si interrompa mai, pena come i tralci staccati, seccano e vengono bruciati. Forse in quella sera i discepoli poco hanno compreso queste espressioni di Gesù. Poi con il tempo le hanno scoperte e vissute nella loro semplicità e freschezza: rimanere vuol dire ‘ascoltare, conservare nell’intimo, lasciar depositare nel profondo del proprio cuore le parole di Gesù.

La vite porta la ‘vita’/’linfa’ ai tralci e la ‘vita/linfa’ dei tralci è la vita stessa della vite. In altre parole Gesù porta, offre la sua vita a ciascuno di noi, e così noi siamo messi nelle condizioni di vivere nella nostra vita, la sua stessa vita. Proprio come accade a due persone che dicono di amarsi, che sono legate dall’amore, che rimangono, stanno nell’amore: l’uno vive nell’altro e attraverso l’altro; la vita dell’altro diventa la sua stessa vita: uno offre la sua vita all’altro perché possa vivere della sua stessa vita e viceversa: è la dinamica dell’amore.

  1. In questo è glorificato il Padre: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli

Gesù riceve la vita dal Padre e la trasmette ai suoi amici, i discepoli. Amore che riceve tutto dal Padre e nulla trattiene, ma tutto viene donato: comunica questa vita ai tralci cioè ai discepoli, a noi, che hanno la possibilità e la gioia di vedere fiorita la propria esistenza e ancor più, di nutrire, di dare la vita a loro volta. L’uva che viene offerta dai tralci non è per esser guardata, per esser messa in vetrina, ma per essere mangiata, è per il nutrimento e la gioia delle persone. Non è la vite che offre l’uva, ma sono i tralci che l’offrono: il ‘merito’ viene lasciato ai tralci, Gesù rifugge da ogni ‘glorificazione’: il Padre è felice nel vedere i suoi figli ‘rimanere nel Cristo e portare frutto’ per la salvezza di tutti.

Solamene se siamo uniti al Signore, solo se ‘rimaniamo’ nel suo amore, tutti formiamo un’unica realtà, cioè la ‘vite’ stessa, diventiamo cioè lo stesso Cristo, e possiamo portare quei frutti che non sono nostri, ma che provengono dal suo amore, dalla sua vita: vita che ha ricevuto dal Padre, lo stesso amore con cui il Padre lo ama: e questo amore è per il bene di tutti, per la salvezza di tutti. Così nella misura in cui siamo uniti in Cristo, attraverso le nostre azioni quotidiane possiamo sfamare la fame di chi incontriamo, possiamo portare la gioia di cui l’uomo di oggi ha bisogno, possiamo portare quei frutti perché ogni uomo e donna possa vivere felici nella beatitudine di Dio.

Infatti l’uomo che incontriamo ogni giorno, in famiglia e al lavoro, per strada e al supermercato, ha bisogno di pane, di lavoro, di affetto, di gioia, di pazienza, di tenerezza, di bontà, di serenità, di speranza, di fiducia, di abbracci, di sorrisi, di pace, di giustizia, di amore. E in tutto questo è la gloria del Padre, cioè il Padre è glorificato: Gesù non desidera altro che l’amore con cui lui è amato dal Padre possa essere trasmesso a tutti e questo si realizza unicamente attraverso la nostra testimonianza, come suoi discepoli: come i ‘tralci’ della ‘vite’.

 

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