Omelia di Don Edmondo Lanciarotta – Parroco
Il Vangelo che è stato proclamato è la continuazione del vangelo di domenica scorsa, il capitolo 15 di San Giovanni che viene anche detto ‘il secondo discorso di addio’ di Gesù pronunciato nell’ultima cena a tavola con i suoi discepoli.
Dicevamo quanta fatica hanno fatto allora i discepoli nel convincersi che Gesù crocifisso in croce è risorto: infatti di otto giorni in otto giorni, radunati insieme nel luogo della comunità, hanno letto i fatti accaduti alla luce delle Sacre Scritture e gli eventi che riguardavano Gesù alla luce delle sue parole pronunciate quando era ancora con loro negli anni trascorsi prima in Palestina e poi in Giudea. Ebbene un po’ alla volta, con l’aiuto dello Spirito di Dio, spezzando il pane nel giorno del Signore la loro fede è cresciuta, i loro cuori si sono infiammati, i loro occhi illuminati, le loro volontà consolidate, e così alcune parole di Gesù sono state maggiormente ricordate e comprese e accolte come novità assoluta, parole di rivelazione, al punto che sono diventate per loro significative e vitali e vive e vere, e in questo modo con l’andare degli anni sono diventati testimoni gioiosi e credibili del Vangelo di Gesù, al punto, anche di dare la propria vita per Gesù e come Gesù.
Quello che è accaduto a loro, agli apostoli, che hanno compreso lentamente il senso profondo del messaggio di Gesù potrebbe, dovrebbe accadere anche a tutti noi: tante e tante volte abbiamo ascoltato queste parole del Vangelo, tante e tante volte ci siamo cibati di questa parola: siamo cresciuti, spero, nella fede: ebbene, anche oggi viene proclamata questa parola per la nostra vita odierna.
Preghiamo lo Spirito Santo perché possiamo accogliere anche oggi e sempre la Parola di Dio in verità e profondità, come una ‘parola significativa’ per la nostra vita, sensata e importante, cioè capace di dare senso al momento presente che stiamo vivendo, dare luce e verità ai drammi del vivere quotidiano: crescere e consolidare la nostra fede, cioè la relazione con Gesù il Risorto, il Vivente in mezzo a noi e diventare ancor più testimoni gioiosi e credibili del suo Vangelo.
1.Gesù disse: ‘Rimanete nel mio amore.’
Dicevamo (domenica scorsa) che l’evangelista insiste fortemente su questo verbo ‘rimanere’ espresso da Gesù nei confronti dei suoi discepoli. E l’immagine della ‘vite e dei tralci’ è estremamente e chiaramente esplicita nel significato straordinario di rivelazione dell’intimità profonda che esiste tra Gesù e i suoi discepoli. Possiamo dire, come non è possibile definire chiaramente dove finisce la vite e dove iniziano i tralci perché le due realtà costituiscono un ‘unicum’ indissolubile, così non possiamo chiaramente definire dove finisce la vita di Gesù e dove inizia la vita dei discepoli.
Questo dovrebbe essere fonte di consolazione e di tanta speranza per il nostro vivere quotidiano: noi come discepoli siamo intimamente uniti a Gesù, formiamo un solo corpo con Lui e Lui, Gesù è intimamente unito a noi costituendo un’unica sola realtà. Come la ‘vite’ dona vita, cioè linfa ai tralci perché portino frutti abbondanti, così Gesù dona la sua vita a noi, per la nostra vita quotidiana in maniera che possiamo portare frutti abbondanti. I frutti non sono opera nostra, non dipendono da noi, ma dalla radice, cioè dalla ‘vite’, che è Gesù, il cui agricoltore è il Padre. Però siamo noi che portiamo i frutti affinché l’umanità possa mangiarli, possa nutrirsi e rallegrarsi di questi doni.
La condizione però resta sempre la stessa: ‘rimanere’ nel Signore. Cioè, non staccarci, non separarci, non abbandonare, non procedere indipendentemente ed autonomamente. Un suggerimento per realizzare questo ‘rimanere’: non dare mai per scontato Gesù, anzi desiderare di conoscerlo sempre più, mai sazi di lui. Proprio come due persone che affermano di amarsi; se si insinuasse in uno di loro il pensiero di conoscere l’altro sufficientemente e abbastanza bene, al punto da non stupirsi più e di non desiderare più di conoscerlo, allora la relazione si allenterebbe, inevitabilmente si offuscherebbe e lentamente inesorabilmente si perderebbe, perché verrebbe sostituita da un’altra figura che prenderebbe il suo posto.
- Questo è il mio comandamento: ’che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”
Gesù, sempre nell’intimità dell’ultima cena consegna tutto se stesso nel comandamento dell’amore. Riassume tutta la Legge e i Profeti, tutti i comandamenti di Dio, che sigillano l’alleanza di Dio con il suo popolo in un unico comandamento la cui novità e originalità non sta nell’espressione ‘amatevi gli uni gli altri’, ma nel ‘come io’. Infatti tutti gli uomini, anche quelli di altre religioni mentalità, anche coloro che si dichiarano atei o indifferenti possono raggiungere la vetta di amarsi gli uni gli altri: La peculiarità e novità assoluta sta nel ’come’ Gesù ha amato. Nel dare questo comandamento ai suoi discepoli Gesù rivela che prima lo ha vissuto fino in fondo, fino a donare tutta la sua vita per i suoi amici. E così i due comandamenti che riassumevano la Legge e i Profeti, ‘amare Dio e amare il prossimo’ sono sintetizzati e realizzati nell’amare gli uni gli altri ‘come’ Gesù ha amato.
Occorre innanzitutto allora ricevere l’amore di Gesù: è l’amore con cui Gesù è amato dal Padre che viene donato a noi: e questo accade sempre nella misura in cui noi rimaniamo nell’amore di Gesù, se siamo uniti a Gesù. Infatti noi riceviamo non un amore generico, ma lo stesso amore con cui Gesù è stato e viene amato dal Padre e contemporaneamente veniamo messi nelle condizioni di amare come Gesù, cioè di fare della nostra vita quello che Gesù ha fatto della sua vita: un dono d’amore agli altri, fino alla morte. Anche noi saremo messi nelle condizioni di amare gli altri fino alla fine, di fare della nostra vita sempre un dono agli altri se rimaniamo uniti nel Signore.
Come la ‘vite’ dà vita ai ‘tralci’ e i ‘tralci’ prendono vita dalla ‘vite’, e producono i frutti, così noi portiamo i frutti, che non sono nostri, nel senso che ce li costruiamo noi autonomamente, ma quelli di Gesù, solo e a condizione di essere uniti a lui. Allora la vita del Padre passa nel Figlio e, attraverso il Figlio passa in tutti noi: vita che dà senso e pienezza alla nostra vita: la modalità per dare pienezza e senso alla nostra vita è quella di portare frutto, affinché l’umanità, gli altri possano mangiare e cibarsi e rallegrarsi dei nostri doni, che non sono nostri, ma del Signore, donati a tutti attraverso ciascuno di noi.
Ecco compreso l’importanza di ‘rimanere’ nel Signore: cioè di desiderare di conoscerlo ancora e sempre meglio, di ascoltare la Parola di Dio, di far depositare nel nostro cuore il suo vangelo: altrimenti non possiamo essere riempiti di tutto l’amore con cui Dio Padre ama il Figlio e che il Figlio trasmette a noi perché la nostra vita sia piena e la nostra gioia sia perfetta.
3.Voi siete miei amici…Non voi avete scelto me , ma io ho scelto voi..
Gesù rivela fino dove arriva il suo amore, che proviene dal Padre, amore la cui origine è il Padre stesso: Gesù li riconosce come suoi amici, al di là delle loro miserie e fragilità. Prima della loro scelta, prima di ogni loro aspettativa, è Dio che ama per primo e che attraverso Gesù fa giungere il suo amore ai discepoli. Solo se facciamo la scoperta di questo primato di Dio, cioè di essere amati da Dio, così come siamo, con le nostre miserie e fragilità, con i nostri peccati ed infedeltà, potremo fare della nostra vita la manifestazione del suo amore, amando gli altri nello stesso modo di Gesù e con il suo stesso amore.
Vorrei sottolineare solo un aspetto di questo amore. Gesù non parla al singolare: ’io ti chiamo amico’, oppure: ‘io ho scelto te’, ma a plurale. Certamente, la prima chiamata degli apostoli, come viene attestato dai vangeli, è stata personale, con il proprio nome pronunciato in maniera unica e specifica. Ma si tratta di comprendere il senso profondo della realtà che ci costituisce: la ‘vite’ è una sola, con molti ‘tralci’ che la costituiscono, così Gesù è uno solo, ma con molti discepoli che costituiscono il suo corpo, la Chiesa. Occorre che ogni ‘tralcio’ resti innestato nella ‘vite’ perché resti ‘vite’ feconda e così costituirla in verità: quindi, nella misura in cui ciascuno di noi è innestato in Gesù costituisce la realtà profonda del suo corpo, la Chiesa. Quindi solo insieme costituiamo la realtà di Cristo e portiamo frutti; certamente ognuno con la propria originalità e specificità: mai uniformità e appiattimento grigio di persone da ‘fotocopia’, ma cristiani liberi, nuovi, sempre ricreati dall’more di Dio, sempre fecondi e pieni di grazia, perché inseriti in Cristo. Preghiamo perché ognuno di noi sperimenti la fecondità di essere inserito in Cristo, e quindi in Cristo e per Cristo e con Cristo sperimentare la bellezza di essere uniti tra di noi.