Venerdi Santo 15 Aprile 2022

Omelia di Don Edmondo Lanciarotta  –  parroco

 

Verso mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio perché il sole si era eclissato…

Un buio in pieno giorno: allora, il quel drammatico venerdì: l’umanità rifiuta il suo Dio, l’uomo uccide il suo Salvatore, il popolo smarrito comincia a temere e a battersi il petto.

Anche oggi nel pieno del giorno, l’umanità è avvolta dal buio di ingiustizie, violenze e guerre perché il sole della ragione e del cuore si è eclissato.

Un buio ancor più terrificante della notte avvolta dalle tenebre: siamo nel pieno giorno quando tutto questo accade perché il sole dell’amore e della ragionevolezza non brilla più: tutto diventa tenebra, paura, terrore, affanno, morte, desolazione.

Quante ancora e sempre più violenze, ingiustizie, sofferenze e morti anche a causa di pesti e guerre! Una lista che non termina. Un tempo di morte che si prolunga, nonostante le festività, le celebrazioni, nonostante le preghiere e le invocazioni, veglie e digiuni.

Eppure tutto è accaduto in quel drammatico venerdì santo: tutto è compiuto: il sacrificio di Cristo in croce è consumato: Gesù obbediente al Padre fino alla fine, ha consegnato amando, cioè nell’amore, tutto se stesso, quanto aveva ai fratelli, all’umanità.

L’umanità tutta resta stupita di fronte a questo mistero di un Dio che muore per essa: per questo anche le forze della natura, le realtà del creato si sconvolgono: la terra trema davanti al volto di Colui che l’ha amata: il buio avvolge le coscienze umane e le invita a contemplare l’abisso della bontà divina, fin dove arriva l’amore di Dio, un amore senza limiti per l’uomo, per noi , per tutti, nessuno escluso.

Anche noi siamo immersi in questo buio: un buio che ancora e sempre invade e regna nel mondo: ma il nostro è un buio di ingiustizie, sofferenze, guerre, morti: un buio terrificante che sembra non finire più: un buio ancor più tetro avvolge chi non si apre al perdono, chi non spera più, chi non crede più all’amore e non ha più fiducia nell’uomo.

Ebbene, quando ‘si fa buio su tutta la terra’, quando si fa buio intorno a noi, dovremmo capire che qualcosa ci indica che stiamo vivendo un momento decisivo della storia nostra e del mondo, siamo difronte a un segno, misterioso ed evidente al tempo stesso, di una catastrofe o di una possibilità di salvezza, e tuttavia continuiamo nelle nostre insensate attività, incapaci di fare silenzio, incapaci di accogliere visioni nuove, assordati dalle nostre stesse parole, resi ciechi dalle ombre che noi stessi creiamo.

E così i più, sembra, continuano a cianciare vanamente, a gesticolare inutilmente, a sbrodolare parole intrise di commiserazione, giustificazione, pietismo, dissacrando sentimenti fondamentali, esperienze umane, in uno scialo di morte che sempre più paralizza le relazioni e brucia speranze, brucia le nostre relazioni, le nostre speranze, il nostro futuro.

E così, tutti noi ancora siamo immersi nel ‘mistero dell’iniquità (mysterium iniquitatis): assurdo e incomprensibile, inintelligibile che sgomenta e logora ogni sforzo umano, tentati di trovare un senso.

In questa drammatica situazione siamo invitati a saper cogliere il senso profondo di questo buio, cioè a guardare in alto, verso il cielo e di contemplare la gloria di Dio: il vangelo di Gesù. la lieta notizia di Gesù afferma : un Dio muore per salvare uomo.

Contempliamo il Crocifisso, in silenzio rimaniamo sotto il crocifisso, come Maria e il discepolo Giovanni: nel discepolo ci ritroviamo tutti e in Maria riconosciamo di essere anche noi figli come lo è Gesù, e quindi tra di noi fratelli e sorelle. E assumiamo lo sguardo del centurione pagano, il militare romano, il solo che pronuncia le prime parole che non siano di offesa, di derisione, di stupida incomprensione, dando forse, certo inconsapevolmente, l’unica risposta al mistero del silenzio di Dio: ’Veramente quest’uomo era figlio di Dio’.

Uno straniero afferma, un soldato romano confessa che quell’uomo appeso alla croce era ’figlio di Dio’. Vedendo in qual modo è morto, cioè senza imprecare e bestemmiare, senza condannare ed inveire, ma perdonando sempre, a tutti, anzi scusando il male ricevuto perché non sanno quello che fanno, costui, il pagano emette la solenne professione della risurrezione. Il centurione confessa la sua fede con una semplicità disarmante.

Gesù non è morto eroicamente, Gesù non è morto nella gloria. È morto donandosi alla violenza degli uomini, abbandonato da Dio, senza avere da Dio alcuna risposta.

Gesù nella sua passione e morte in croce ha vissuto tutto il peso della sua debolezza fisica e morale. Non ha affrontato gli ostacoli e le tentazioni e le sofferenze con la forza, la chiaroveggenza di un dio, ma con tutta la fragilità e la debolezza di un comune uomo. La sua preghiera non è un diversivo, ma la sua salvezza: la preghiera lo unisce intimamente al Padre. Gesù è si immune al peccato, ma non è immune alla lotta: il confronto con la volontà di Dio non è apparenza, farsa, fiction, spettacolo, ma è lotta reale, concreta, dolorosa.

E dunque il centurione che lo vede morire in questo modo, il centurione diversamente da noi che vogliamo spesso fondare la fede su convinzioni etiche o su certezze teologiche, ha saputo vedere un ‘figlio di Dio’ proprio nell’uomo che era morto come un disgraziato qualsiasi, solo, senza protestare come i ladroni, con quel grido che semplicemente chiedeva ragione del dolore innocente e del male del mondo.

Sentendo che Gesù muore abbandonandosi al Padre invocato come Dio, il centurione attesta che a Lui tutto è possibile. Così riconosce in quello sventurato appeso al legno, da tutti considerato come ‘maledetto da Dio’, il Figlio di Dio, avverte che pur essendo entrato nella morte, qualcosa di lui torna a vivere.

Infatti Gesù non visse soltanto tutte le ignominie di cui noi esseri umani siamo capaci, ma insegnò anche ad affrontare il male con la forza della verità, la dignità degli atteggiamenti, il perdono fatto di gesti prima che di parole. Allora era necessario che il Figlio morisse, che un giusto venisse condannato dal mondo, sprofondasse nella morte più ingiuriosa conosciuta in quel tempo, la croce, per rendere manifeste le trame della malvagità umana, per mostrare da quale prospettiva occorre guardare la storia e per svelare che solo l’amore di una vita spesa per gli altri e agli altri donata può vincere la morte.

Doveva esserci quel silenzio perché ci fosse la morte. Ma doveva esserci quel silenzio perchè potesse risuonare la voce del centurione che proclama che non tutto è finito, se quell’uomo straziato nel corpo e nello spirito era Figlio di Dio . Pur non sapendo nulla della Sacra Scrittur afferma il nucleo essenziale della fede: ‘Dio è Padre’ e un uomo che muore così abbandonato non può che essere il suo Figlio prediletto, nel quale possiamo riconoscerci fratelli.

Allora la croce non è l’espressione di un supremo dolore, quanto invece l’espressione di un supremo amore. Allora, anche se è buio su tutta la terra, questo buio non ci fa paura, non ci porta terrore, perché in questo buio splende il volto di Gesù, la gloria di Dio che sconvolge i nostri cuori, il creato , l‘umanità intera, di un amore inaudito, impossibile, scandaloso, che è e rimane per sempre e per tutti, amore, e dono, salvezza.

Anche noi siamo invitati a giungere alla fede del centurione, anche se non ci sentiamo veri cristiani o sappiamo poco della Bibbia. Qui, oggi è fondamentale credere. Credere a Pasqua , cioè alla risurrezione non è giusta fede. Bisogna credere il venerdì santo: qui, ora è fede giusta.

Dentro il drammatico silenzio di Dio, in un buio che accade in pieno giorno, contemplando come muore il crocifisso nasce la fede vera e certa che apre alla risurrezione.

L’esperienza del silenzio di Dio non dice la debolezza della fede, ma la profondità e l’umanità della fede, e porta al centro dell’uomo e della storia, là dove Dio e l’uomo sembrano contraddirsi, dove Dio sembra assente o distratto, dove la morte sembra avere l’ultima parola sulla vita e la menzogna sulla verità. Ma se compreso nel mistero di Cristo, allora il silenzio di Dio appare nella sua realtà, cioè come un diverso parlare. Capirlo è già vincere la morte, Dio non compie il miracolo di far scendere dalla Croce, ma il miracolo di rimanervi con amore e con speranza, nonostante tutto.

Allora, al miracolo di scendere dalla croce Dio preferisce il miracolo della fede: ‘fede vera è il venerdì santo…nel silenzio totale di Dio’. Allora guardando al crocifisso, il credente non è più solo di fronte alla sofferenza e alla morte. E’ in compagnia di Gesù e in lui trova speranza oltre che un termine di confronto. Non la speranza di evitare la morte o di strappare a modo nostro Dio dal silenzio, bensì la speranza nell’affrontare la morte attraversandola.

Lo spazio della speranza non è soltanto la risurrezione, ma anche il fatto che il Figlio di Dio abbia vissuto la nostra stessa morte, Lui pure, come noi, angosciato. “Anche a te la morte fa male, per questo tu sei amico di ognuno segnato dal male” (D.M. Turoldo). Il miracolo della fede, che converte il mondo è tutto qui.

E Maria, tutto questo lo sa e lo vive nella fede, in silenzio, ritta sotto la croce del Figlio. Infatti, sempre in disparte quando il Figlio annunciava il suo vangelo alle folle esultanti, ora è presente in questo drammatico Venerdì santo; segue il Figlio suo ed accompagna coloro che con lei lo seguono nel suo cammino verso la morte, la via crucis, e così la Via del Figlio diventa anche la sua Via, la via dell’amore che si dona fino alla fine, l’Amore trafitto. E’ quello che abbiamo vissuto questa sera, con la breve processione per le strade della nostra parrocchia, a sessant’anni dalla sua nascita.

Maria, inoltre, non la vediamo comparire il giorno di Pasqua: infatti, per Lei non c’è bisogno che suo Figlio si faccia presente, come Risorto: Lei, piena di Spirito Santo, già crede alla Parola di Dio.

Il suo Gesù, il suo Figlio, è Figlio di Dio Altissimo, il Messia , il salvatore del mondo: Lei lo crede, fin da quando glielo ha detto l’angelo all’inizio del suo cammino di fede. E ora, pur nel dolore e nella sofferenza immane, continua a credere.

Non ha bisogno di prove che attestino la sua risurrezione: Dio opera in lui, nel Figlio, Dio salva l’uomo in Gesù: Lei resta radicata nella Parola di Dio, e continua ancora a dire il suo ‘SI’ a Dio, in silenzio e nello strazio umano, e così anche lei continua a crescere nella fede e diventa madre di coloro che credono nel Figlio suo, di tutti coloro che nel Figlio trafitto si affidano a Dio, che credono alla Parola di Dio: lì sotto la croce diventa madre dei discepoli di Gesù, come suoi figli coloro che credono in Dio.

Con la processione, percorrendo la Via Matris dolorosae, la via della Madre Addolorata desideriamo raccogliere tutti coloro che sostituiscono la comunità cristiana in Mussetta sotto la sua protezione per imparare da Lei a credere ed essere generati come suoi figli nel Figlio.

Questo, fratelli e sorelle, è il giorno della nostra fede: oggi, il venerdì santo. Questo è il luogo ove esprimere la nostra fede.

Questo è il momento della vera fede: la risurrezione non è altro che la conseguenza gloriosa di questo momento umanamente drammatico solo se e nella misura in cui oggi lo viviamo, lo facciamo nostro con Maria l’Addolorata ritta sotto la croce del Figlio.

 

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