Domenica 28 Febbraio 2021

Domenica II di  Quaresima

Omelia di Don Edmondo Lanciarotta  –  parroco

 

Dopo l’esperienza di digiuno per quaranta giorni del deserto tentato da satana, la liturgia oggi ci conduce, seguendo Gesù nel suo cammino verso la Pasqua, su un alto monte per contemplare la sua trasfigurazione. Gesù poco prima aveva annunciato ai discepoli che a Gerusalemme sarebbe stato condannato, avrebbe patito sofferenze e sarebbe stato ucciso. Di fronte allo sbigottimento e smarrimento dei suoi discepoli Gesù ne chiama con sé tre, Pietro, Giacomo e Giovanni e li porta a far loro un’esperienza tutta particolare, unica e irripetibile, affinchè fossero preparati a vivere e quindi superare lo scandalo della sua passione e morte, quando sarebbe giunto il momento, continuando a credere ancora in lui come il Salvatore, il Messia, il Figlio di Dio.

Suggerisco tre brevi riflessioni.

1. Gesù prese con se Pietro, Giacomo e Giovanni… fu trasfigurato davanti a loro.

Gesù, nel suo cammino verso Gerusalemme, verso il compimento della volontà del Padre, verso la sua piena e totale risposta alla volontà del Padre, coinvolge alcuni suoi discepoli, li chiama a sè, li fa entrare nella sua intimità, nella preghiera intima con il Padre, nel silenzio, in un luogo solitario, appartati, lontano dagli occhi della gente e dal rumore del vivere quotidiano, sul monte, loro soli, per prepararli alla scandalo della croce, della sua morte in croce e far loro intuire la verità della sua vita, la profondità della sua identità, la contemplazione del mistero della sua vita. Per un attimo il suo corpo si trasfigura emanando una luce straordinaria, facendo diventare le sue vesti bianchissime, splendenti come non mai, alla presenza delle massime autorità dell’esperienza religiosa del popolo d’Israele, Mosè, tutta la Legge ed Elia, tutta la profezia.

Interno Basilica della trasfigurazione – Monte Tabor – Israele

In questa esperienza Gesù viene ancora una volta confermato nella sua obbedienza al Padre, come lo era stato all’inizio della sua vita pubblica, quando ha ricevuto la conferma della sua identità e della sua missione, al momento del battesimo di Giovanni al fiume Giordano. La strada intrapresa da Gesù è quella indicata dal Padre. Gesù, in questa esperienza sul monte, riceve un’ulteriore conferma della sua obbedienza al Padre: consapevole che questa strada lo porterà alla morte, al pieno sacrificio di sè, che la sua parola e la sua azione sono in piena e totale linea con la volontà di Dio, certificata dalla presenza di Mosè e di Elia, prosegue il suo cammino verso Gerusalemme e desidera condividere questa esperienza con i suoi amici.

I due grandi personaggi Mosè ed Elia conversano con Gesù, cioè convergono su Gesù: allora in Gesù giungono a compimento le attese d’Israele, tutta l’alleanza del popolo con Dio, tutta la Legge, tutta la Profezia. Gesù è la Parola piena e definitiva di Dio.

  1. Pietro disse a Gesù::’Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè, una per Elia…Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce:’Questi è il Figlio mio, l’amato’.

I tre discepoli sono condotti da Gesù su questo alto monte in disparte. E’ Gesù che li prende con sé, che fa loro il dono di fermarsi in disparte, nella solitudine del monte. E’ bene sempre ricordare che questo salire sul monte e stare con Gesù non è qualcosa che può decidere il discepolo, programmarlo fissando al Signore un appuntamento in base ai propri desideri. Il discepolo può solo accogliere quest’invito che gli viene rivolto, nello stupore e nella gioia, e lasciarsi condurre per mano. I discepoli sperimentano in maniera singolare la bellezza del volto di Gesù, godono meravigliati lo stupore indicibile della realtà profonda di Gesù, sono introdotti per un attimo nel mistero inesauribile di Gesù uomo, di Nazareth di Galilea e figlio di Dio, sperimentano che stanno bene in questa visione. Le parole incerte e immediate di Pietro manifestano una felicità incontenibile, un desiderio di contenere, di conservare questa esperienza, di eternizzare nel proprio tempo storico questa esperienza unica ed estasiante. E’ un’esperienza sconvolgente.

Ma questa esperienza dura un attimo, un momento veloce, non può essere eternizzata, mantenuta e protratta nella storia. Infatti, un attimo dopo esser avvolti da una nube, che rappresenta la ’presenza’ di Dio nella storia, di quel Dio che ha accompagnato il popolo dalla schiavitù, attraverso il deserto, nella terra promessa, ed aver udito una voce che certificava l’accaduto indicando Gesù come Figlio di Dio e trasmetteva l’unica fondamentale e necessaria consegna, impegno ai discepoli, quella dell’ascoltarlo, ecco che i discepoli si trovano soli con Gesù, solo, e basta. I discepoli sono inviatati allora a passare dal volto luminoso di Gesù alla Parola, attraverso l’invito stesso del Padre che orienta il discepolo all’ascolto: ’Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo’.

3. ”…Ascoltatelo’

Per il discepolo il passaggio dal ‘Volto’ alla ‘Parola’ non è senza resistenze. La contemplazione appagante di Gesù aveva fatto dire a Pietro: ‘è bello per noi essere qui…’. E’ in fondo la tentazione di localizzare il mistero, di prolungare l’istante benedetto e fissare per sempre la storia. Invece al discepolo è chiesto solo di ascoltare Gesù, di camminare con Gesù, di seguirlo sulla strada, sulla via verso Gerusalemme. Ascoltare la Parola di Dio, cioè ascoltare Gesù, solo, e basta. Questa è l’unica consegna al discepolo, e quindi anche a noi, se desideriamo diventare ancora e sempre discepoli di Gesù, camminare sulla strada verso la Pasqua. Ascoltare e basta, cioè leggere la storia umana, personale e universale attraverso la vicenda storica di Gesù, cioè, non aver alcun altro riferimento, nessun altro appoggio, nessun aggancio se non la sua vicenda storica, cioè affidarci a lui, cioè non pretendere di vedere, ma solo di ascoltare. Ascoltare Gesù vuol dire seguire Gesù, camminare dietro a lui verso la gloria, attraverso il fallimento umano della croce, contemplare nel volto sfigurato, nel corpo trafitto, nell’esistenza martoriata di Gesù in croce la bellezza di Dio: ascoltare la Parola, restare aggrappati unicamente alla sua Parola: ‘questi è mio Figlio, l’amato’.

Ed è chiaro il riferimento alla richiesta di Dio ad Abramo narrato nella prima lettura. Abramo, amico di Dio, che si era fidato sulla sua parola, ed era partito lasciando la sua terra, conosciuta ed amata, per una terra non conosciuta, ma solo promessa; che si è fidato della Parola di Dio di aver una grande discendenza, lui vecchio e senza figli e con una donna, sposa, vecchia e sterile: ebbene ora ha, Isacco, il figlio della promessa, ora ha la certezza della sua fede in Dio che mantiene le sue promesse. Ad un certo punto della sua storia Dio gli chiede di sacrificare il figlio suo, il figlio che realizza tutte le promesse fatte, il figlio della promessa di Dio. Abramo è posto davanti ad una scelta drammatica: o conservare il figlio delle promesse di Dio, mantenere in vita il figlio che realizza le promesse di Dio, o fidarsi ancora di Dio, affidarsi alla nuova parola di Dio che gli dice di sacrificare proprio questo suo figlio.

Basilica della Trasfigurazione – Monte Tabor – Israele

Il dilemma di Abramo diventa anche il nostro dilemma: seguo la mia sicurezza conquistata con il cammino vissuto finora, seguo la certezza della mia vita vissuta con Dio, seguo i miei criteri interpretativi conquistati con fatica nel corso della vita, oppure, seguo ciò che Dio mi dice oggi, ascolto e concretizzo la parola di Dio che oggi mi viene donata in maniera nuova, anche se incomprensibile, irragionevole, scandalosa, drammatica? Mi fido di me stesso o mi fido di Dio, ancora oggi? Imposto la mia vita oggi sulla base delle belle e straordinarie esperienze vissute nel passato o mi apro al nuovo di Dio, all’irruzione nuova e inedita di Dio nel mio ‘oggi’ storico? Abramo, allora, ha scelto Dio, ha ascoltato la parola di Dio che gli diceva, in maniera incomprensibile, di sacrificare il suo bene, il figlio suo. Abramo non si è chiuso nel suo passato, ma si è aperto alla parola nuova di Dio, anche se inaudita e incomprensibile: e Dio, verificato la sua obbedienza, è intervenuto nel momento finale perché non sacrificasse il figlio Isacco. Questa è la strada indicata anche a noi: questo vuol dire ascoltare sempre e solo, unicamente e totalmente la Parola di Dio, anche se inconcepibile e irrazionale: affidarci a questa Parola perché è Dio che me la dona e la me la offre per il mio bene, la mia felicità, la mia salvezza. E nel nostro cammino verso la Pasqua noi non siamo soli, abbiamo con noi Gesù. Impariamo da lui, e grazie a lui, entrando nella sua pasqua possiamo anche noi vivere obbedendo alla volontà di Dio, ascoltando sempre la Parola di Dio. Infatti Gesù, per primo e in maniera totale, assoluta, realizza pienamente la Parola di Dio, la sua volontà nella propria vita: ogni attimo, ogni momento della sua vita terrena è una obbedienza nuova alla parola di Dio, anche se incomprensibile, inaudita, drammatica, dolorosa.

 

QUI il testo in PDF   <–