L’Esistenza Umana: Problema O Mistero? Aperta Al Mistero Di Dio

(Febbraio 2021)

 

Premessa

Io vivo. Vivo la mia vita. Amo la vita. Voglio vivere. Ma vivere cos’è? Cos’è la vita? Chi me l’ha data, chi me la dà? Perché vivo? Che significato ha la mia vita? Sono gli eterni problemi dell’uomo. Ma non sono forse problemi superflui per gente che ha tempo da perdere? Chi è ogni giorno alle prese con il lavoro e la famiglia ha ben altro da fare. Eppure, prima o dopo, questi interrogativi emergono alla coscienza di ciascun uomo e donna, e rivelano tutta la loro fecondità.

1. Osservare l’uomo in profondità: la vita, problema o mistero?

Ma cos’è l’uomo? Chi è l’uomo? L’uomo è una realtà complessa, cioè bipolare, cioè anima e corpo, materia e spirito, capace di bene e di male, chiamato a grandi compiti e ferito dal peccato, con grandi ideali e desideri e fragile nello sforzo e nell’impegno, diviso tra bene e male. L’uomo è un problema, cioè un essere problematico, che si interroga, che non ha mai risolto tutto, che va sempre in cerca di soluzioni. Continuamente si chiede il perché del dolore, del male, della morte, della sofferenza. Così l’uomo è a se stesso un problema, mai del tutto risolto. L’uomo è un enigma, cioè una realtà difficile da capire, con aspetti nascosti ed imprevedibili. In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo (cfr. GS.18), e spesso porta l’uomo alla disperazione (cfr. GS, 21). L’uomo è un mistero, cioè un essere che va oltre se stesso: “l’uomo supera infinitamente l’uomo” (B. Pascal). E la fede cristiana ci dice che “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (GS, 22): così l’uomo merita rispetto, venerazione, ascolto, silenzio.

2. Superare le tentazioni.

Ogni uomo incorre nella tentazione di risolvere il mistero. L’uomo ha sempre la tentazione di ridurre il mistero a problema. In particolare vi sono tre tentazioni fondamentali: la stanchezza, il piacere e l’entusiasmo. Per coloro che sono stanchi, la vita è un errore o un fallimento. Meglio scendere da ogni responsabilità ed impegno appena se ne ha l’occasione. E vi sono alcuni “uomini saggi” che considerano l’universo una illusione e fatalità. L’uomo della strada “stanco” solitamente ha questa espressione: “a che scopo tutto questo?”. Per coloro che sono i gaudenti, la vita vuol dire riempirsi del momento presente, trarre piacere fin dove è possibile, cercare sempre l’autorealizzazione. E’ un po’ ciò che l’uomo contemporaneo cerca. Per gli entusiasti la vita vale, cioè ha importanza fin quando si cresce, si conosce, si scopre. E questo sarebbe positivo, perché ci fa intuire che la vita è inesauribile. Ma come si reagisce di fronte ai fallimenti, agli imprevisti, alle sofferenze ingiuste, alle fatiche prolungate, alle amarezze della vita, alle stanchezze quotidiane?

3. Aprirsi al mistero.

Occorre saper vedere il mondo dalla prospettiva di Dio, vedere oltre ciò che appare immediatamente, oltre ed al di là di ciò che si sperimenta. Si tratta di avere fiducia in se stessi e nelle possibilità umane, fiducia di cambiare e di progettare, di speranza e di ottimismo, contro il fatalismo, la rassegnazione, la disperazione. Accettare ed amare il duro mestiere di essere uomini, cioè non dei robot, delle macchine, non dei bambini facilmente ingannabili, non dei cervelli di scienza, ma uomini sempre inquieti ed in ricerca della verità. Scoprire la gioia del ricevere, come un bambino che riceve un dono, come una terra che riceve il seme. E questo significa riconoscersi poveri, bisognosi, piccoli, non autosufficienti, da una parte, e riconoscere gli altri come dono, come fratelli, come necessari per ciascuno, dall’altra. Farsi cercatori, cioè non possidenti, non arrivati, non sistemati, ma perennemente pellegrini, in cammino; uomini che quotidianamente interrogano, ricercatori instancabili del senso del vivere, del soffrire, dell’amare. Occorre avere il cuore di cercatori, cioè un cuore capace di meravigliarsi, di gioire delle piccole cose, delle novità della vita, dell’inedito presente nel quotidiano della vita. Occorre avere un cuore capace di “vedere”, “sentire” Dio, capace, cioè, di essere aperto all’incontro con Dio, un cuore pieno di fede.

4. Credere, aver fede, fidarsi di Dio, affidarsi a Dio, confidare in Dio, sempre, anche nella morte.

Infatti, la fede è dono di Dio: è atteggiamento di apertura a Dio che sempre viene nella sto-ria umana e la trasforma con la sua grazia e bellezza. E’ l’accoglienza di Dio nella condizione creaturale, come è accaduto alla Vergine Maria che accoglie la Parola di Dio nella sua vita e così genera al mondo il Verbo di Dio, Gesù, il Dio-con-noi. E’ accoglienza quotidiana, feriale, costante. E’ rimanere sempre dentro il mistero. Fede è gratitudine, cioè accettazione del dono prezioso della vita eterna. La vita è la prima esperienza dell’uomo, e rimane sempre un mistero, man mano che lo si vive e lo si comprende.

Don Edmondo LAnciarotta  –  Parroco