Omelia di Don Edmondo Lanciarotta – Parroco
Di otto giorni in otto giorni, da quel primo giorno dopo il sabato il giorno di Pasqua, il Cristo Crocifisso e Risorto, incontra i suoi amici rinchiusi in casa, ancora increduli e smarriti e sta in mezzo a loro, si pone al centro della comunità, mostra i segni della sua passione, interpreta le Scritture per comprendere i fatti e gli eventi accaduti nella storia, spezza il pane con loro e attende che liberamente ognuno lo riconosca presente, vivo, Signore e Dio.
E così di otto giorni in otto giorni si arriva a noi, qui radunati ancora increduli e smarriti, ma ancora insieme in comunità: il Risorto sta in mezzo a noi, mostra i segni della sua passione, ci aiuta a comprendere il senso della nostra storia umana, personale e sociale alla luce delle Scritture e spezza il pane per noi e attende che lo riconosciamo vivo, presente, Risorto e Signore e Dio.
I discepoli di allora, radunati fanno memoria del Signore risorto e ricordano e approfondiscono, e sempre più comprendono il senso profondo e vero delle parole dette da Gesù e delle sue azioni compiute quando era con loro, nella vita pubblica: e in questo modo la loro fede cresce, si irrobustisce, si fortifica, diventa sempre più vita nella loro vita, diventano cioè testimoni credibili e gioiosi della bellezza del vangelo di Gesù. Senza paura lo annunciano, lo predicano alle genti e poi alcuni lo raccolgono negli scritti, i così detti ‘vangeli’ che arrivano fino a noi, oggi.
Grazie a loro, anche noi oggi, attraverso la liturgia eucaristica di domenica in domenica, possiamo approfondire, conoscere ulteriormente, scoprire ancora la profondità e la vastità del vangelo di Gesù, fortificare, irrobustire, consolidare la nostra fede in Gesù Risorto, diventando anche noi, sempre più testimoni credibili e gioiosi di Gesù.
Come i discepoli di Gesù, radunati nello spezzare il pane, dopo la sua risurrezione hanno compreso con maggior verità il messaggio di Gesù, scoprendone aspetti inediti, anche noi oggi, attraverso il sacramento che celebriamo abbiamo la possibilità, la grazia di comprendere, accogliere il vangelo di Gesù e di scoprirne ancora aspetti inediti, insondabili, intuirne la bellezza e profondità, anche se lo abbiamo sentito, ascoltato e meditato tante e tante volte: resta sempre nuovo e inedito: annuncio straordinario di salvezza per la nostra vita.
- Gesù disse: ’Io sono….’
Questa è un’espressione fondamentale, straordinaria, che Gesù ha rivolto a sé stesso presentandosi non solo ai discepoli, ma al popolo, alla gente nella sua predicazione.
Ebbene questa espressione per la prima volta appare nel Libro dell’Esodo: con questa espressione Dio si presenta. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che ha parlato a Mosè dal roveto ardente sul Monte Sinai e l’ha mandato dal faraone con il messaggio di liberare il suo popolo schiavo ed oppresso si è presentato proprio proclamando il suo nome ‘Io sono ’ e invitando Mosè a riferire al Faraone che: “Dio, cioè ‘Io sono ’ mi manda”.
Pronunciare il nome nella cultura antica indica far accadere la presenza stessa del nominato, indica presentare la potenza stessa di chi viene nominato, concretizzare la sua presenza nella storia. Ebbene Gesù evoca a sé questa espressione: si presenta come la presenza e la potenza e la sublimità del Dio di Abramo e dei Patriarchi, del Dio liberatore del popolo dalla schiavitù dell’Egitto, del Dio dell’Alleanza, del Dio dei profeti. Gesù si presenta come la manifestazione ultima e definitiva di Dio.
Certamente Gesù ha pronunciato diverse volte questa espressione, ma i discepoli non ne avevano dato quell’importanza che poi ha assunto, dopo la pasqua, quando sono cresciuti nella consapevolezza, nella fede che Gesù, proprio perché morto e crocifisso, in quanto risorto, non può non essere il Dio che salva l’umanità dal peccato e dalla morte.
- ’…il buon pastore’
Gesù si presenta con un’immagine molto cara e conosciuta, viva e feconda nella cultura ebraica, all’interno di un popolo che ha vissuto lunghi periodi di pastorizia e che ancora per gran parte della popolazione era la propria condizione di vita.
Certamente per noi, occidentali e cittadini del terzo millennio, immersi nelle tecnologie e negli strumenti digitali, quest’immagine è poco significativa, immediatamente sterile, per nulla feconda, ma che richiede un ulteriore approfondimento per tentare di conoscere la reale vita e condizione di vita del pastore con le pecore, per avere almeno alcune intuizioni che possono aprirci al senso del messaggio che Gesù voleva trasmettere e che i discepoli hanno raccolto e fatto giungere fino a noi.
Gesù si presenta come il buon pastore, il pastore buono, che ama, cioè il bel pastore, perché l’amore è sempre bello, stupendo, meraviglioso.
Un pastore che conosce le pecore, che le chiama per nome, le ascolta, le guida, le protegge, le difende, le sostiene, le cura, le educa, le porta, le alimenta, le accompagna, le nutre, le conduce ai pascoli fecondi. Gesù con questa espressione afferma che il suo rapporto con noi è simile a quello del pastore con le pecore. Gesù ci ama, ci protegge, si aiuta, ci sostiene, ci alimenta, ci guida alla vita eterna. Per il pastore la pecora è la sua vita, tutta la sua ricchezza, tutto il suo bene: il suo essere pastore è intimamente legato alle pecore. Gesù è intimamente legato a ciascuno di noi: noi siamo la sua stessa vita. Un pastore senza le pecore non è pastore, diventa un’altra realtà; è destinato a ‘cambiare mestiere’, un pastore senza pecore è un uomo ‘fallito’.
Portando alle estreme conseguenze circa il senso dell’immagine, possiamo affermare che Gesù senza di noi è ‘fallito’, Dio senza il suo popolo è ‘fallito’, deve ‘cambiare mestiere’.
Siamo invitati allora a ripensare al volto di Colui che diciamo essere il nostro Dio, specie in quelle situazioni in cui pensiamo di essere stati abbandonati da Dio, dimenticati da lui, o peggio, castigati, criticati, condannati alla sofferenza.
Ebbene l’immagine utilizzata da Gesù apre orizzonti nuovi e offre a tutti il dono di scoprire il volto bello di Dio che si prende cura di ciascuno di noi, a partire da chi è nel bisogno e nella sofferenza. Infatti Gesù è Colui che fa della mia vita lo scopo della sua vita, cioè Colui che pone al centro della sua vita, del suo operare e vivere, sempre la nostra vita, il nostro bene, la nostra salvezza.
Inoltre con quest’espressione Gesù richiama tutta la storia della salvezza racchiusa nelle Sacre Scritture, espresse meravigliosamente anche nei Salmi (cfr. Sal. 23): è il Dio che guida il suo popolo, che non sopporta pastori che pascono se stessi, non si curano del gregge e lo disperdono: è il Dio che raduna con il suo braccio il gregge e che porta gli ‘agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri’(Is. 40,11): queste espressioni stupende usate dai profeti per esprimere la grandezza e la tenerezza dell’amore di Dio, la conoscenza reciproca e la comunione di vita tra Dio e il suo popolo, trovano il loro compimento in colui che si definisce il ‘pastore buono’, il ‘ pastore bello ’.
- “Io do la mia vita per le pecore’
Gesù prosegue nel suo vangelo affermando di aver ricevuto dal Padre il potere dell’amore, un potere tale da dare la propria vita per tutti: da offrire, donare, consegnare liberamente e indistintamente a tutti il suo amore, la sua stessa vita. Infatti tutta la sua esistenza terrena, è stata un donarsi, un prodigarsi, un consegnarsi all’umanità affranta, ammalata, sofferente, bisognosa, affamata, fino alla fine, fino alle estreme conseguenze.
Un amore per l’umanità che lo ha portato, liberamente ad accogliere la morte: Gesù non è in balìa degli eventi e delle violenze, ma liberamente, in questa morte violenta, Gesù si consegna, si offre, si sacrifica. E’ Gesù che ha il potere di offrire la sua vita, non il potere conosciuto dagli uomini, un potere che schiaccia, che opprime, che elimina, che offende, che impone, che prevale sull’altro, che consuma e distrugge, ma il potere dell’amore, cioè che si dona sempre, a tutti.
Questa è la bellezza dell’amore di Dio, la potenza dell’amore di Dio: Gesù stesso. E questo amore che si dona è amore offerto affinché l’uomo possa vivere di quella stessa vita che Gesù ha ricevuto dal Padre e che attraverso Gesù, con il suo donarsi arriva a tutti noi, viene riversata su di noi.
Gesù con il suo donarsi, con il suo consegnare la propria vita per tutti noi ci inserisce nella stessa relazione d’amore che lui, Figlio, Gesù ha con il Padre. L’amore sostiene ‘il buon pastore’ e lo sottrae alla logica del mercato e dalle trame fredde dell’interesse individuale.
Questo amore ci fa uscire dalle nostre chiusure, dalle nostre abitudini pigre, dai nostri reciti e ci inserisce nelle preoccupazioni stesse del Signore, per una conoscenza di amore personale, irripetibile che penetra nel mistero di ognuno.
L’unica preoccupazione nel cuore di questo ‘bel’ pastore Gesù: salvare le sue pecore, che siamo noi.