Domenica  Ascensione del Signore  24 Maggio 2020

Omelia di Don Edmondo Lanciarotta – Parroco

Celebriamo oggi la festa dell’Ascensione del Signore al cielo, ove siede alla destra del Padre. E’ la conclusione ‘ufficiale’ dell’esperienza storica di Gesù ed il ritorno definitivo al Padre, dal quale era venuto con la sua Incarnazione, nascendo dalla B.V. Maria. L’evento è raccontato nei primissimi versetti del libro degli Atti degli Apostoli (1 lettura) nel suo congedarsi dalla terra mentre  i suoi discepoli fissavano il cielo, affermando che sarebbe ritornato alla fine dei tempi, e la riflessione teologica di questo evento, possiamo dire, ci viene presentata  all’inizio della Lettera di Paolo apostolo agli Efesini (2 Lettura) quando afferma che in Lui, proprio perché assiso alla destra del Padre, risiede ogni potenza. Celebriamo allora, il ‘ritorno’ di Gesù presso il Padre, nella sua gloria. Con l’incarnazione era sceso dall’alto, oggi ritorna nella sua ‘sede’  originaria, divina, come Figlio dell’Uomo, anzi glorificato, Signore dei vivi e dei morti. Il mistero che celebriamo oggi è un approfondimento ulteriore della Pasqua di risurrezione. Diventa anche l’affermazione gioiosa  della destinazione ultima alla quale tutti i discepoli di Cristo, tutti i cristiani, e quindi anche noi, sono  chiamati: essere con lui nella gloria del Padre. La speranza di poter raggiungere, con Gesù Signore vincitore della morte, questo stupendo traguardo di vita piena, illumini  la nostra vita storica, quotidiana e possa contagiare d’amore  chi incontriamo nel nostro cammino.

1. I discepoli  andarono in Galilea…quando lo videro.

Possiamo affermare che con la risurrezione, Gesù è definitivamente giunto alla destra del Padre, è pienamente in Dio, riconosciuto Signore del cielo e della terra. Tuttavia, a fronte della fatica del credere in lui risorto da parte dei suoi discepoli, Gesù paziente, per un limitato periodo di tempo, quaranta giorni, si fa ‘presente, si ‘fa vedere’, ’appare’ ai suoi, li rassicura, aspetta pazientemente che arrivino alla fede, si fa compagno di viaggio nelle strade  della vita, anche in quelle dell’abbandono e della tristezza, li rincuora, spiega il senso dei fatti alla luce della Sacra Scrittura, spezza il pane con loro. Apparendo loro  diverse volte e in modi diversi Gesù si è mostrato loro ‘vivo’, dando molte prove di essere il ‘Vivente’.  In questo modo Gesù è riuscito  a condurre i suoi amici, turbati e disorientati dal dramma della croce, alla constatazione e alla convinzione della sua risurrezione, e contemporaneamente Gesù si è rivelato ancor più il loro Maestro che li ha aiutati a saper leggere e interpretare il senso della storia umana a partire dalla sapienza della croce. Un tempo, questo di quaranta giorni, numero prettamente simbolico,  possiamo dire, di ‘catechesi’, di approfondimento dell’esperienza storica di Gesù vissuta dai discepoli, in maniera che fossero adeguatamente preparati poi a ricevere il dono dello Spirito, a Pentecoste. Un’esperienza tutta particolare, sperimentata solamente da loro, limitata nel tempo, e  raccontata nel gruppo degli Apostoli, la prima chiesa, e che  ad un certo momento termina: ebbene, il momento  in cui termina questa esperienza è proprio riconducibile all’Ascensione: il momento in cui in maniera definitiva  Gesù saluta ‘storicamente’ i suoi ed affida loro la ‘missione’, il compito di continuare la sua azione salvifica che il Padre gli aveva affidato inviandolo, mandandolo sulla terra.

Gesù convoca i suoi per l’ultima volta in Galilea, la regione della loro infanzia, la regione percorsa da Gesù  all’inizio della sua vita pubblica, il luogo ove ha incontrato per la prima volta i suoi discepoli e li ha chiamati, uno per uno, per nome a diventare suoi apostoli. Ebbene dopo la Pasqua, a conclusione del periodo di  approfondimento  e consolidamento della loro fede, per l’ultima volta, li convoca proprio lì, nel luogo e nel tempo della loro vita ordinaria, dove  li ha incontrati per la prima volta, nel loro quotidiano vivere, affinchè  fossero capaci di riconoscerlo ancora, risorto e vivente. Questo ‘evento’ può  diventare ‘realtà’ anche per noi. Noi che siamo stati chiamati alla fede nella vita quotidiana, noi che siamo stati chiamati alla fede fin dal Battesimo, diventando così suoi discepoli, o che abbiamo cercato di seguirlo nel cammino della fede fino alla Pasqua, noi ancora incerti e smarriti, noi che dopo la pasqua siamo ritornati alla vita ‘normale’ e ‘quotidiana’, ebbene, noi siamo invitati ad incontrarlo nella nostra ‘Galilea’,  miscuglio di cultura, fedi, mentalità, abitudini, cioè nel nostro luogo e tempo di tutti i giorni fatto di miscuglio di esperienze, mentalità, abitudini, usi, costumi, ricordando il nostro primo incontro di fede,  il nostro primo incontro con Gesù, che ha trasformato radicalmente la nostra vita. Non dobbiamo assolutamente dimenticare questo nostro primo incontro con il Signore: anzi siamo invitati a riconoscere che quel Gesù che ci ha chiamati alla fede è il Crocifisso, il Risorto e il Vivente nel nostro nuovo oggi quotidiano.

2. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitavano.

I discepoli ancora nell’ultimo incontro con il loro Signore e Maestro, lo riconoscono (”si prostrarono”), e contemporaneamente ancora sono increduli (“dubitarono”). Fede e incredulità possiamo dire sono sempre correlate, sono sempre presenti in ogni esperienza umana. Pur tuttavia Gesù si avvicina loro e li assicura della sua potenza e signoria sul mondo per sempre ed affida loro la missione di annunciare, di comunicare a tutti il suo Vangelo e di  battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo coloro che aderiscono. Gesù affida loro quanto il Padre gli aveva  affidato inviandolo sulla terra. Ora che sta per ritornare al Padre Gesù invia nel mondo i suoi discepoli  per testimoniare  la presenza di Dio nella storia, per annunciare a tutti che l’uomo è salvato da Dio, che la vita è amata da Dio, che ogni uomo è amato dal Signore, che la morte ed il peccato sono  stati definitivamente sconfitti, che nulla dell’umano è irricuperabile agli occhi di Dio.

La stessa missione  è affidata, ancora, attraverso il sacramento che celebriamo, a ciascuno di noi nella misura in cui ognuno di noi è diventato ancora e sempre più suo discepolo, cioè abbia fatto esperienza di Gesù, lo abbia riconosciuto Risorto e abbia sperimentato la novità della propria vita, gustato la fragranza della sua amicizia, abbia contemplato la bellezza del suo volto, ne sia stato trasformato intimamente nel proprio cuore. Quando si incontra l’amore si è profondamente trasformati, ricreati; diventiamo persone nuove, inedite: ebbene questa novità viene immediatamente percepita e colta da coloro che frequentiamo quotidianamente, e questo diventa la nostra testimonianza credibile, gioiosa che il Signore desidera da noi e che il mondo, nel siamo inseriti, aspetta. La missione affidata da Gesù alla sua Chiesa non  è riducibile al ‘proselitismo’, cioè a far entrare  i popoli in un’organizzazione sociale, non è un’imposizione giuridica, un obbligo moralistico, una costrizione psicologica,  un ricatto religioso: nulla di tutto  questo. Solo testimonianza di Gesù  che rivela il vero volto di Dio. Solo testimonianza di quel Gesù che è vero e vivo nel cuore di chi lo annuncia. Solo in questo modo possiamo trasmettere il ‘virus dell’amore’ invisibile che contagia intimamente tutti coloro che incontriamo nel cammino della vita.

Nel passaggio delle consegne da Gesù ai discepoli, cioè alla chiesa, il soggetto che dà le consegne è proprio Gesù stesso, il Signore risorto, l’Onnipotente, il Signore dell’universo che esercita il potere senza limiti in cielo e  in terra. Gesù è giunto a questo potere divino, attraverso la passione e morte e risurrezione, cioè attraverso la vita vissuta nell’amore e per amore. Gesù in questo modo mette nelle mani della chiesa il suo potere, quello stesso potere che lui ha ricevuto dal Padre: si fida dei suoi amici, come il Padre si è fidato di Lui. Il Cristo risorto prima di ritornare definitivamente al Padre, assicura la sua chiesa, i suoi amici della riuscita della missione, del compito così difficile, arduo che sono invitati a compiere nel mondo.

3. ”Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Queste sono le ultime parole di Gesù raccolte dall’evangelista Matteo e poste a conclusione del suo Vangelo, come firma indelebile, come testimonianza eterna, come professione che attesta la presenza di Dio per sempre nella storia umana. Queste ultime parole di Gesù, sono  parole che infondono fiducia, serenità, speranza. Certamente tutti noi ne siamo conviti, lo sappiamo e la nostra fede lo attesa. La nostra esperienza lo certifica: cioè siamo tutti convinti che questo sia vero, e fonte di speranza. D’altro canto scopriamo anche  la difficoltà a concretizzarle, e contemporaneamente la straordinaria avventura che caratterizza la nostra vita, quella cioè di saper riconoscere la presenza di Gesù nel quotidiano nostro vivere; sappiano che Gesù è con noi,  sempre, talora però non riusciamo a scorgerlo vicino e presente, fatichiamo a riconoscerlo, e dubitiamo. Siamo invitati a riconoscerlo nella gioia e nel dolore, nei momenti difficili e facili, nella sofferenza e nella consolazione.

Gesù non si è mai allontanato e non si allontanerà mai dalla storia umana, dalla nostra storia. E’ presente con il suo Spirito, con il suo amore; e la chiesa lo testimonia, lo certifica: ecco il nostro drammatico e meraviglioso impegno, la  nostra missione. Siamo invitati a dare speranza al mondo, cioè riempire di amore la vita quotidiana, riempire di significato ogni attimo, ogni momento, ogni situazione di vita, ogni dubbio, ogni interrogativo. Gesù Cristo è il Signore e il Maestro: vuol dire che proprio questo Gesù è il senso profondo della storia umana. La chiesa testimoniando il Cristo risorto e vivente afferma che  il suo tempo diventa il tempo di Dio; cioè, tempo di salvezza, tempo di bontà, tempo di misericordia, tempo di perdono, tempo di grazia per tutti coloro che incontra nel suo cammino lungo la storia.

 

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